Aggiornato a Ottobre 2025
L’intelligenza artificiale è entrata stabilmente nei processi aziendali, ma fino a oggi mancavano regole chiare. Con l’AI Act europeo, entrato in vigore nel 2024, e con la legge italiana 132/2025, l’Europa e l’Italia stabiliscono finalmente come si può – e come non si può – usare l’AI in modo sicuro e trasparente. Le aziende devono imparare a gestire queste tecnologie come veri strumenti strategici, non come “black box” incontrollate. E chi saprà farlo per tempo potrà non solo evitare sanzioni, ma guadagnare fiducia e vantaggio competitivo.
Nell'articolo parleremo di:
- Quando entra in vigore l'AI ACT (spoiler: è già attivo)
- Quando arriva in Italia
- Chi si occupa di intelligenza artificiale in Italia
- Cosa prevede l'AI Act
- Cosa devono fare le aziende
- Quali sono i rischi per chi non si adegua
Un nuovo scenario per l’intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale non è più un’innovazione sperimentale: è già parte integrante della vita delle imprese. Automatizza processi, analizza dati, ottimizza campagne, assume ruoli nel marketing, nella logistica, nelle risorse umane e nella produzione. Tuttavia, la rapidità con cui l’AI è entrata nei sistemi aziendali ha lasciato per anni un vuoto normativo. Mancavano regole su responsabilità, trasparenza, sicurezza e tutela delle persone coinvolte nei processi decisionali automatizzati.
Il Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (AI Act) e la successiva legge italiana n.132 del 2025 sono la risposta a questa esigenza. Non si tratta di norme pensate per bloccare l’innovazione, ma per incanalarla entro principi di correttezza, sicurezza e responsabilità. Il messaggio che arriva alle imprese è chiaro: l’AI può essere un vantaggio solo se è governata con consapevolezza.
Quando entrerà in vigore l’AI Act
L’AI Act è entrato ufficialmente in vigore il 1° agosto 2024, ma i suoi effetti si dispiegano in più fasi. Le prime regole operative sono scattate nel febbraio 2025, vietando una serie di utilizzi considerati “a rischio inaccettabile”, come i sistemi di riconoscimento biometrico in tempo reale negli spazi pubblici o il social scoring, cioè la classificazione dei cittadini in base ai comportamenti.
Dal 2 agosto 2025 sono entrate in vigore le norme sui modelli di intelligenza artificiale generali – quelli utilizzati come base per molte applicazioni, dai chatbot ai generatori di immagini. Chi li sviluppa deve garantire trasparenza sui dati di addestramento, sicurezza, rispetto del diritto d’autore e una documentazione tecnica verificabile.
Infine, dal 2 agosto 2026 diventeranno pienamente operative le disposizioni più complesse: quelle relative ai sistemi ad alto rischio, cioè quegli algoritmi che possono incidere su aspetti cruciali come salute, credito, istruzione o sicurezza. Per questi sistemi saranno richieste valutazioni di conformità, audit interni e supervisione umana obbligatoria.
La Commissione europea ha ribadito che non sono previste proroghe: le imprese devono prepararsi fin da ora.
Quando arriva l’AI in Italia
In senso pratico, l’intelligenza artificiale è “arrivata” in Italia da tempo. La vera novità, però, è l’ingresso dell’AI nel quadro giuridico nazionale, avvenuto con la legge 132 del 2025, in vigore dal 10 ottobre 2025. Questa norma rappresenta il completamento dell’AI Act, adattandone i principi al contesto italiano.
Da questa data, l’Italia diventa uno dei primi Paesi europei ad avere una legislazione nazionale organica sull’intelligenza artificiale. La legge non riscrive le regole europee, ma introduce strumenti concreti per rendere l’AI più controllabile e più trasparente. Si occupa di aspetti molto pratici: la formazione delle persone che usano l’AI, la trasparenza nei confronti dei clienti e dei lavoratori, la responsabilità per danni causati da algoritmi, e la prevenzione di usi distorti come i deepfake o le manipolazioni online.
Oltre alla parte normativa, la legge apre anche la strada a una politica industriale sull’intelligenza artificiale: incentivi per startup, sandbox sperimentali e fondi dedicati a progetti che usano l’AI in modo sicuro e responsabile.
Chi si occupa di intelligenza artificiale in Italia
La governance dell’intelligenza artificiale in Italia è distribuita tra più soggetti, con ruoli complementari. L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha il compito di garantire la sicurezza dei sistemi e la conformità tecnica, vigilando su rischi informatici e vulnerabilità. L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha invece un ruolo di coordinamento e di indirizzo: elabora linee guida, promuove progetti di sperimentazione e gestisce i sandbox regolatori, ambienti protetti dove le imprese possono testare soluzioni AI con l’affiancamento delle autorità.
Un altro attore chiave è il Garante per la protezione dei dati personali, che interviene in tutti i casi in cui l’intelligenza artificiale comporti trattamenti di dati personali, profilazioni o decisioni automatizzate. Infine, la Presidenza del Consiglio – Dipartimento per la Trasformazione Digitale coordina la strategia nazionale per l’AI, assicurando coerenza tra sviluppo tecnologico, sicurezza e diritti.
Questo sistema a più livelli è pensato per bilanciare innovazione e tutela, con l’obiettivo di creare un ambiente in cui le imprese possano innovare senza incorrere in rischi legali o reputazionali.
Cosa prevede l’AI Act
L’AI Act non è un insieme di divieti, ma un sistema di regole proporzionate al rischio. Ogni applicazione di intelligenza artificiale viene classificata in base al suo impatto potenziale sui diritti delle persone e sulla sicurezza.
I sistemi a rischio inaccettabile sono vietati: rientrano in questa categoria gli strumenti di sorveglianza biometrica di massa, i sistemi che manipolano comportamenti o che classificano i cittadini. I sistemi ad alto rischio, invece, potranno essere utilizzati ma solo a determinate condizioni: dovranno essere documentati, controllati, sottoposti a valutazioni di sicurezza e supervisionati da persone.
Rientrano tra questi, ad esempio, i software per la selezione del personale, gli algoritmi di scoring per il credito o le soluzioni mediche basate su AI. Le aziende che li usano dovranno tenere un registro interno, garantire la qualità dei dati di addestramento, prevenire bias discriminatori e predisporre procedure di monitoraggio continuo.
Per le applicazioni a rischio limitato – come chatbot, assistenti virtuali o generatori di contenuti – l’obbligo principale è la trasparenza: l’utente deve essere chiaramente informato quando interagisce con una macchina. Tutti gli altri usi dell’AI, considerati a rischio minimo, restano liberi ma dovrebbero comunque rispettare principi di correttezza e affidabilità.
La legge italiana 132/2025: un’AI più umana e responsabile
La legge italiana integra e rafforza l’AI Act, traducendone i principi in misure concrete. Impone alle imprese e ai datori di lavoro un dovere di trasparenza: chi utilizza sistemi di intelligenza artificiale per valutare, assumere o gestire persone deve dichiararlo esplicitamente. Non è più accettabile che un algoritmo decida in silenzio.
Un altro pilastro è la supervisione umana. L’intelligenza artificiale può supportare ma non sostituire il giudizio umano, soprattutto nei contesti più delicati come il lavoro, la sanità, la giustizia o la pubblica amministrazione. Le decisioni finali devono restare di competenza umana e verificabili.
La legge prevede inoltre nuove tutele penali, introducendo il reato di diffusione di contenuti falsi generati con AI (i cosiddetti deepfake) e aggravando le pene per chi utilizza l’intelligenza artificiale per commettere frodi o manipolazioni. Allo stesso tempo, promuove la formazione e l’alfabetizzazione digitale come strumenti di prevenzione: la conoscenza diventa parte della compliance.
Cosa devono fare le aziende
Le imprese che usano o intendono usare l’intelligenza artificiale devono cominciare da una domanda semplice: dove e come la sto utilizzando?
Mappare i casi d’uso è il primo passo per capire se e quanto si ricade nelle regole dell’AI Act. A seguire, serve valutare il livello di rischio di ciascun sistema, aggiornare le politiche interne, formare le persone coinvolte e introdurre controlli umani nei processi automatizzati.
La legge introduce anche un concetto di “alfabetizzazione obbligatoria” sull’AI: non è più accettabile che chi usa strumenti basati su algoritmi lo faccia senza comprenderne le logiche di base. Le aziende dovranno quindi prevedere corsi, linee guida interne e programmi di aggiornamento per rendere il personale consapevole dei limiti e dei rischi dell’intelligenza artificiale.
Infine, un aspetto spesso sottovalutato è la responsabilità condivisa con i fornitori. Le aziende che acquistano software o servizi AI devono verificare che anche i propri partner rispettino le regole: in caso di non conformità, infatti, la responsabilità può ricadere anche sull’utilizzatore finale.
Per le aziende italiane è quindi già il momento di chiedere un supporto legale specifico per l'intelligenza artificiale, per potersi tutelare in primo luogo, ma anche per poter iniziare a sfruttare in sicurezza l'enorme potenziale che l'AI può portare ai processi e ai sistemi aziendali.
Rischi, sanzioni e opportunità
Le sanzioni previste dall’AI Act sono molto più severe di quelle del GDPR: fino a 35 milioni di euro o il 7% del fatturato globale per violazioni gravi. Ma il rischio principale per un’azienda non è solo economico. Un errore nella gestione dell’intelligenza artificiale può minare la reputazione, la fiducia dei clienti e persino i rapporti con partner e investitori.
Allo stesso tempo, però, la compliance può trasformarsi in un vantaggio competitivo. Le imprese che documentano con chiarezza come usano l’AI, che formano i propri dipendenti e che dimostrano di adottare controlli e trasparenza saranno percepite come più affidabili e innovative.
Inoltre, i sandbox regolatori che verranno attivati in Italia offriranno la possibilità di sperimentare soluzioni avanzate in un ambiente controllato e conforme. È un’occasione per innovare in sicurezza e costruire relazioni dirette con le autorità che gestiranno la vigilanza futura.
Conclusione
L’intelligenza artificiale non è più solo una leva tecnologica: è diventata una questione di governance, cultura e responsabilità. L’AI Act e la legge italiana 132/2025 segnano l’inizio di una nuova era in cui l’uso dell’AI non può più essere lasciato al caso o alla curiosità dei singoli reparti IT.
Le aziende che iniziano ora a costruire processi trasparenti, a formare le persone e a documentare come usano l’intelligenza artificiale non solo eviteranno rischi, ma saranno anche le prime a sfruttarne il potenziale in modo solido e credibile. L’AI del futuro sarà sempre più presente, ma dovrà essere – come prevede la normativa europea – affidabile, sicura e sotto controllo umano.
Fonti autorevoli
- Commissione europea, “Artificial Intelligence Act”, 2024
- Eur-Lex, Regolamento (UE) 2024/1689
- Gazzetta Ufficiale, “Legge 23 settembre 2025 n.132”
- Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), sezione “AI e sicurezza”
- Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), linee guida su AI e PA, ottobre 2025
- Garante Privacy, “Intelligenza artificiale e tutela dei dati”, 2025
- Il Sole 24 Ore, “AI Act all’italiana: le nuove regole per imprese e professionisti”, ottobre 2025
- Agenda Digitale, “AI Act: le scadenze e gli obblighi per le aziende”, 2025
- Wired Italia, “Cosa cambia per le imprese con la legge italiana sull’AI”, 2025